I partigiani e il soft air “nazifascista”
Il 22 aprile 2017, il sito di notizie Il Cittadino Online ha pubblicato una breve notizia nella quale si afferma che il presidente del club di soft air Commando Lupi Amiata di Pancastagnaio (Si) sarebbe stato costretto a porgere le proprie scuse alla sezione ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) d Abbadia San Salvatore (Si) per aver collocato una bandiera tedesca della seconda guerra mondiale (definita “nazifascista” dal sito) nello scenario di una propria gara svoltasi in quella località. Tale bandiera – da quel che si può dedurre – non sarebbe stata affissa per velleità nostalgiche, bensì a puro scopo scenografico, dato che il carattere dell’evento in questione era storico-rievocativo.
La ritrosia del club di Pancastagnaio a parlare di questa incresciosa faccenda – forse per paura di subire ritorsioni o fors’anche per soggezione nei confronti di una lobby potente come quella dei “partigiani” (i quali, evidentemente, non invecchiano e non muoiono mai e sono sempre qui a vegliare sulla nostra moralità politica) – non ci consente di entrare nei dettagli e ci obbliga a usare il condizionale, in ogni caso, ammesso che quanto riportato dal sito sia vero, non si capisce con quale diritto o quale potere l’ANPI possa sindacare le scelte operate da un gruppo di ragazzi che organizzano un gioco di fantasia.
L’ANPI – chiariamolo subito – non è un’autorità, non rappresenta il popolo italiano. A dirla tutta, non rappresenta nemmeno la Resistenza. L’ANPI, di fatto, è un partito politico, con una chiara ideologia politica e un preciso scopo politico: quello di propugnare una visione di parte, univoca, arbitraria dei fatti storici inerenti la guerra civile; quello d’imporre la propria “verità” delegittimando, se occorre, quella degli altri.
Ci sembra dunque opportuno, a fronte di una vicenda grottesca come questa, che rischia di screditare un club di soft air stimato in tutta Italia e per nulla politicizzato come il Commando Lupi Amiata, spendere due parole sulla “controparte”, cioè sull’ANPI.
L’ANPI fu costituita al termine della seconda guerra mondiale. Inizialmente, essa raccoglieva ex partigiani d’ogni tendenza politica: comunisti, azionisti, cattolici, socialisti, liberali, repubblicani. Ben presto, però, questa apparente unità si dissolse, in quanto l’associazione in oggetto – come dichiara Aldo Aniasi nel suo libro su Ferruccio Parri – «era egemonizzata dagli iscritti comunisti e dalla politica del PCI. E la sua linea era sostanzialmente filosovietica».
Attenzione, parliamo di Aldo Aniasi, personalità di spicco della Resistenza, non di Giorgio Almirante…
Su questo argomento, negli ultimi quindici anni, ha scritto diffusamente Giampaolo Pansa, grande giornalista politicamente collocabile a sinistra. Saprete sicuramente che Pansa, dopo una lunga e prestigiosa carriera come editorialista del settimanale L’Espresso, un bel giorno decise di cercare la verità sulle vicende della guerra partigiana, e così scoprì cose sbalorditive, che nessuno aveva mai avuto il coraggio di raccontare. Cose per le quali – guarda caso – Pansa fu poi fatto oggetto di un linciaggio implacabile proprio dall’ANPI… linciaggio che peraltro continua tuttora.
In un articolo del 2012 per il quotidiano Libero (leggi qui), Pansa racconta che i primi ad andarsene dall’ANPI furono gli ex partigiani cattolici e quelli delle formazioni autonome, ovvero i militari che l’8 settembre del 1943 avevano rifiutato di sbandarsi. Costoro fondarono una loro associazione. Successivamente, a staccarsi dall’ANPI furono i reduci delle formazioni di Giustizia e Libertà, create dal Partito d’Azione. E il leader degli ex partigiani non comunisti divenne Ferruccio Parri.
Cosa spinse questi galantuomini ad andarsene dall’ANPI? Li spinse la consapevolezza che con i comunisti non era possibile alcuna collaborazione, perché i comunisti non accettano alcuna idea, alcuna opinione, alcuna proposta, alcuna finalità che non sia la loro. D’altro canto, la guerra era finita da poco e gli ex combattenti guidati da Parri ricordavano ancora benissimo come la prepotenza, l’intolleranza, la faziosità dei comunisti avesse trasformato la resistenza all’occupazione tedesca in una guerra civile, una sanguinosa, crudele guerra fratricida le cui ferite non si sono mai più rimarginate.
È il caso qui di ricordare le uccisioni di partigiani “bianchi” commesse dai partigiani “rossi”? Vogliamo rammentare le stragi perpetrate dai comunisti dopo il conflitto per pura vendetta e più spesso per rapina? Qualcuno ignora cosa fu il “triangolo della morte” che insanguinò l’Emilia? Vogliamo anche raccontare di come, nel 1948, in occasione del terzo anniversario del 25 aprile, Parri venisse aggredito dagli ex partigiani del PCI che gli tolsero la parola?…
Furono orrori come questi a causare quella frattura tra italiani di cui ancor oggi scontiamo le conseguenze, a suscitare una discordia tra connazionali che non ha pari in nessun’altra nazione civile.
C’è altro da aggiungere?
L’immagine di copertina di questo articolo mostra una giovane “fascista” portata alla gogna da un gruppo di partigiani a fine guerra. La foto, secondo numerosi siti d’informazione online, mostrerebbe la cattura della tredicennne Giuseppina Ghersi da parte dei “resistenti” comunisti, avvenuta il 25 aprile 1945. Giuseppina fu violentata e torturata per giorni dai suoi aguzzini, quindi, il 30 aprile successivo, finita con un colpo di pistola alla nuca.